di Rajan RaghuramIl Sole 24 ore 20 luglio 2010

Prima della recente crisi finanziaria, i politici di entrambi gli schieramenti, in America, incitavano Fannie Mae e Freddie Mac, i due colossi semipubblici dei mutui, a sostenere i prestiti alle famiglie a basso reddito nei loro collegi elettorali. C’era un problema di fondo dietro questo inedito interesse per le case ai poveri: l’aumento della disuguaglianza economica.
 A partire dagli anni Settanta, gli stipendi dei lavoratori del 90° percentile della distribuzione dei salari in America (per esempio, i manager) sono cresciuti molto più rapidamente degli stipendi del lavoratore mediano (il 50° percentile, ad esempio, gli operai delle fabbriche e le segretarie). Sono molti i fattori all’origine della crescita del differenziale 90/50.
La cosa forse più importante è che il progresso tecnologico in America impone alla forza lavoro di avere competenze sempre maggiori. Quarant’anni fa per gli impiegati era sufficiente un diploma di scuola superiore, oggi basta a malapena una laurea di primo grado. Ma il sistema dell’istruzione non è in grado di sfornare una quantità sufficiente di lavoratori con qualifiche adeguate. Le ragioni vanno dal livello mediocre dell’alimentazione, della socializzazione e dell’apprendimento nella prima infanzia alla disfunzionalità delle scuole primarie e secondarie, che lasciano troppi americani impreparati ad affrontare il college.
Le conseguenze concrete nella vita di tutti i giorni per il ceto medio sono la stagnazione del salario e una maggiore insicurezza del posto di lavoro. I politici avvertono il malcontento dei loro elettori, ma è difficile migliorare la qualità dell’istruzione, perché per realizzare progressi sarebbero necessarie inversioni di rotta concrete ed efficaci in un campo dove gli interessi costituiti protendono in gran parte per il mantenimento dello status quo.
Inoltre, ci vorranno anni perché qualsiasi cambiamento produca effetti, e questo significa che gli elettori continueranno a essere angosciati. I politici dunque sono alla ricerca di altri modi, più rapidi, per rabbonire gli elettori. Sappiamo da tempo che quello che conta non è il reddito, ma i consumi. Un politico cinico o intelligente sa che se riesce in qualche modo a sostenere i consumi delle famiglie della classe media, se fa in modo che possano permettersi un’auto nuova a intervalli di pochi anni e ogni tanto una vacanza in una località esotica, forse questa gente farà meno caso al fatto che il suo salario resta al palo.
Ma la risposta politica all’aumento della disuguaglianza, o per deliberata pianificazione o per inerzia, è consistita nell’espandere il credito a favore delle famiglie, specialmente quelle a basso reddito. I benefici – aumento dei consumi e dell’occupazione – sono stati immediati, e il momento di pagare l’inevitabile conto poteva essere rimandato al futuro. Per quanto possa sembrare cinico, il credito facile viene periodicamente usato come palliativo da governi incapaci di affrontare direttamente i problemi principali della classe media.
I politici, però, preferiscono esprimere l’obiettivo in termini più edificanti e persuasivi di un semplice e grossolano incremento dei consumi. Negli Stati Uniti, estendere la casa di proprietà (un elemento fondamentale del sogno americano) alle famiglie a basso e medio reddito era la giustificazione di facciata di scopi più generali come espandere il credito e i consumi.
Perché gli Stati Uniti non hanno seguito la via più diretta della ridistribuzione, incrementando le risorse dello stato attraverso la tassazione o l’aumento del debito pubblico e spendendo a favore dell’inquieta classe media? La Grecia, ad esempio, è finita nei guai proprio seguendo questa politica, assumendo migliaia e migliaia di persone nell’amministrazione pubblica e sovrapagandole, nonostante il debito pubblico fosse arrivato a livelli astronomici.
In America, però, negli ultimi anni c’è stato un forte schieramento politico ostile alla ridistribuzione diretta. Il credito immobiliare mirato era una politica che godeva di un consenso ampio, perché ognuno degli schieramenti era convinto che ne avrebbe beneficiato.
La sinistra era favorevole a trasferimenti di denaro diretti al suo elettorato naturale, mentre la destra vedeva con favore l’aumento delle case di proprietà perché forse questi neoproprietari sarebbero passati dalla sua parte. L’allargamento dei mutui alle famiglie a basso reddito è stato uno dei pochi argomenti su cui la presidenza Bill Clinton, con la sua politica della casa accessibile, e la presidenza Bush figlio, con il suo obiettivo di una società di “proprietari”, concordavano.
Alla fine, però, l’incauto tentativo di estendere il numero dei proprietari di immobili attraverso il credito ha lasciato gli Stati Uniti con case che nessuno può permettersi e famiglie affogate nei debiti. Per ironia della sorte, la percentuale delle case di proprietà è in calo dal 2004.
Il problema, come succede spesso con i provvedimenti del governo, non era nelle intenzioni. Quasi mai il problema è nelle intenzioni. Ma quando una gran quantità di denaro facile riversato da uno stato con dovizia di fondi entra in contatto con la spinta al profitto di un settore finanziario sofisticato, competitivo e amorale, la faccenda si spinge ben oltre le intenzioni del governo.
Naturalmente non è la prima volta nella storia che l’espansione del credito viene usata per alleviare le preoccupazioni di un gruppo sociale rimasto indietro, e non sarà l’ultima. E non bisogna neanche varcare i confini degli Stati Uniti per trovare altri esempi.
La deregulation e la rapida espansione del settore bancario americano nei primi anni del XX secolo fu per molti aspetti una risposta al movimento populista, spalleggiato da coltivatori piccoli e medi che stavano perdendo terreno rispetto al numero crescente di lavoratori dell’industria, e chiedevano un maggior accesso al credito. L’eccesso di credito rurale fu una delle maggiori cause di fallimenti bancari durante la Grande depressione.
L’implicazione più generale è che non dobbiamo limitarci a cercare le cause di fondo di questa crisi nell’avidità dei banchieri e nell’insipienza dei regolatori (anche se ce n’è stata in abbondanza di entrambe). E i problemi non si risolvono con una legge di regolamentazione del settore finanziario che assegna maggiori poteri agli organismi di regolamentazione.
L’America deve affrontare il problema della disuguaglianza alla radice, mettendo un maggior numero di americani nelle condizioni di competere sui mercati globali. È molto più difficile che distribuire credito, ma più efficace sul lungo periodo.

www.project-syndicate.org
(Traduzione di Gaia Seller)

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