Stop agli avvisi di liquidazione che rideterminano ai fini dell’imposta di registro il valore di avviamento nei trasferimenti di azienda applicando automaticamente e acriticamente metodi di calcolo non calibrati sulla situazione concreta.
A stabilirlo è la sentenza 16/15/12 della Ctr Lombardia, che conferma la decisione di primo grado.
Il contenzioso scaturisce da un accertamento emanato per rideterminare il valore dell’avviamento in presenza di cessioni di azienda. Nonostante la frequenza di tali rettifiche, gli uffici non adottano criteri uniformi nelle valutazioni e si assiste all’applicazione dei metodi più disparati, fondati ora sulla redditività, ora sui dipendenti, ora sul patrimonio. Soprattutto si tratta di metodi che, anche alla luce delle pronunce giurisprudenziali, si rivelano spesso sganciati dalla realtà della singola società contribuente.
La disposizione attorno alla quale ruota questo tipo di contenzioso è l’articolo 51, comma 4, del Testo unico di registro (Dpr 131/86).
In riferimento agli atti relativi ad aziende o a diritti reali, la disposizione attribuisce agli uffici poteri di controllo sul «valore complessivo dei beni che compongono l’azienda, compreso l’avviamento».
Nel caso specifico l’ufficio aveva rettificato il valore di avviamento dichiarato dalle parti in sede contrattuale utilizzando il metodo (abbastanza diffuso negli accertamenti del fisco) della capitalizzazione del reddito economico. In applicazione di tale metodo l’avviamento è stato rideterminato assumendo il reddito medio dell’ultimo triennio come base di calcolo e moltiplicando tale valore per un coefficiente pari a 3. Tale metodo è “consigliato” nella circolare 10/93/13876 del 1993 e vi fa riferimento anche l’articolo 2, comma 4, del Dpr 460/93 (che tuttavia è norma ormai abrogata, per effetto dell’applicabilità all’imposta di registro del Dlgs 218/97, ed è dettata non per gli accertamenti in rettifica ma per l’accertamento con adesione).
Sia i giudici di primo grado che quelli della regionale hanno ritenuto il metodo prescelto dall’ufficio (in capo al quale – ricordano gli stessi giudici – incombe l’onere probatorio e motivazionale) non idoneo a valutare il valore dell’avviamento dell’azienda trasferita.
Il metodo utilizzato dall’ufficio è fondato esclusivamente su elaborazioni matematiche.
Ma, secondo i giudici, non tiene in debita considerazione la circostanza che l’avviamento si compone di fattori non solo oggettivi ma anche soggettivi, i quali, soprattutto nella piccola e media impresa italiana, rivestono una grande rilevanza. Si tratta di fattori «inerenti alla personalità dell’imprenditore, al suo apporto/impulso lavorativo, alle sue qualità commerciali, alla sua capacità di gestione aziendale. Proprio perché le doti personali dell’imprenditore sono fattori non trasferibili, in tal caso è forse più appropriato parlare di qualità dell’imprenditore idonee a incidere sull’avviamento».

I giudici milanesi puntualizzano quindi che la valutazione dell’avviamento non può far leva su rigidi e generalizzati criteri di calcolo e che la «stima va effettuata di volta in volta valorizzando le peculiarità che caratterizzano l’attitudine prospettica di quell’azienda a produrre utili».

In altre parole l’applicazione automatica di un metodo come quello reddituale può essere ritenuta non idonea nei vari casi concreti che si possono prospettare.

A tal proposito i giudici ricordano che ciò è particolarmente vero, ad esempio, quando l’innovazione di prodotto o l’emersione di prodotti concorrenti faccia stimare una redditività futura assai più contenuta di quella ottenuta negli esercizi precedenti o – come nel caso specifico – quando nella determinazione dell’avviamento la componente soggettiva rappresentata dalle qualità imprenditoriali rivesta un ruolo decisivo

Il testo della sentenza in http://www.ilsole24ore.com/pdf2010/SoleOnLine5/_Oggetti_Correlati/Documenti/Norme%20e%20Tributi/2012/03/016-15-2012-avviamento_pr.pdf?uuid=860697a6-74c9-11e1-996c-b66c8fedc3f4?uuid=Abtp6pCF

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